“The trouble with market research is that people don’t think how they feel, they don’t say what they think and they don’t do what they say.”
(David MacKenzie Ogilvy)
In occasione del Festival del Fundraising 2018, dove ho collaborato come volontaria, ho avuto la possibilità di seguire una sessione dedicata al Neuromarketing, una disciplina che ci aiuta a comprendere l’effetto che i nostri spot, il nostro sito e in generale la nostra comunicazione ha sul pubblico.
Qual’è il compito del neuromarketing?
Nello specifico il compito del neuromarketing è capire quali aree del cervello, che corrispondono alle emozioni, si attivano durante uno stimolo. Oggi viene usata la Pet e l’elettroencefalogramma, l’Eye Tracking (il processo di misurazione del punto di fissazione oculare o del moto di un occhio rispetto alla testa, usato per testare l’efficacia del sito o del packaging), e del Face reader (programma di riconoscimento delle emozioni facciali), per svolgere queste analisi. Il neuromarketing non è in grado di chiarire perché il pubblico prova certe emozioni, ma è in grado di riscontrarle e indicare ai creativi le parti da modificare per ottenere i migliori risultati.
Come può aiutare le piccole organizzazioni, con budget ridotto, una disciplina così complessa?
Attraverso i principi e le regole del gioco che sono emerse dagli studi. Gli esempi che sono stati portati durante la sessione sono molteplici e alla nostra portata: i primi riguardano i sensi. Ad esempio mangiare roba dolce con una musica soave fa percepire il cibo più dolce rispetto ad una musica “ruvida”, così come diffondere fragranze di pino durante le campagne contro il disboscamento aiuta a perseguire meglio la causa. Anche l’uso delle parole che stimolano i sensi funziona di più , usare una “voce di velluto” rispetto a una “voce soave” è più efficace.
Mostrare le azioni e le emozioni reali fa attivare Il cervello. Ad esempio guardare chi prova disgusto ci fa provare disgusto a nostra volta.
Un altro utile strumento da conoscere sono i bias cognitivi, cosa sono?
I bias cognitivi automatismi mentali che ci portano a prendere decisioni in fretta e senza fatica. L’ effetto dote ad esempio ci consiglia di fare sempre 3 proposte per portare il pubblico a scegliere quelle con il valore maggiore, l’effetto ancoraggio è molto utilizzato per dare un termine di confronto, come dire che qualcosa costa meno di un caffè al giorno, i Nudge sono comportamenti che possono essere guidati con le emozioni, come ad esempio inserire una porta da calcio all’interno del wc nei bagni pubblici maschili per incentivare le persone a mantenerli più puliti, ma ce ne sono molti altri tra cui i più conosciuti: l’effetto carrozzone e l’urgenza.
Per quanto riguarda gli spot alcuni “trucchi” possono esserci utili! Ad esempio inserire il brand all’interno dello spot più volte, così da sottolinearlo al pubblico è più efficace rispetto ad inserirlo solo alla fine; utilizzare colori caldi fa provare emozioni positive a chi guarda così come inserire l’intera gamma delle emozioni ci porterà a risultati migliori.
Vi lascio con due campagne, sperando che possano essere un interessante spunto:
- “Parisian road safety authority” una campagna di successo sull’educazione stradale proposta in Francia per sensibilizzare i pedoni a rispettare i semafori.
- “Tu ci sarai” una campagna sui lasciti testamentari di Unicef che mette in luce l’efficacia della narrazione.
Come sempre buona comunicazione
Serena
13 Giugno 2018 at 9:46
Wow, l’argomento è estremamente interessante e anche sul filo di lana tra marketing e brainwashing… però mi piacerebbe saperlo usare per promuovere i miei prodotti in modo efficace!
13 Giugno 2018 at 12:56
grazie! Non conoscevo l’argomento ma approfondirò per applicare queste strategie al mio lavoro ! Ottimo articolo, semplice e di facile comprensione 👍🏼